La Suprema Corte, attraverso la sentenza 6408/2019, è stata chiamata ad esprimersi sul ricorso di un Parroco, condannato a seguito di un infortunio avvenuto durante lavori di tipo volontario dentro la Chiesa.
Infatti in conseguenza di infortunio occorso presso una Chiesa in Maddaloni, veniva condannato il Parroco per reato di lesioni personali colpose con violazione della normativa antinfortunistica. L’incidente sorgeva dalla caduta in quota da una scala durante lavori di tinteggiatura di cui si stavano occupando due parrocchiani.
Il Parroco viene denunciato per l’impiego di due lavoratori occasionali/volontari, in mancanza di rispetto di:
– art. 2087 Codice civile
L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [Cost. 37, 41].
– art. 107 D.Lgs. 81/2008
Agli effetti delle disposizioni di cui al presente capo si intende per lavoro in quota: attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile.
Il Parroco decide quindi per il ricorso in Cassazione seguendo i principi per cui:
– non fu lui, ma altro parrocchiano a conferire l’incarico autorizzando i lavori in esame;
– la tinteggiatura che stava eseguendo il lavoratore volontario/occasionale non poteva definirsi con assoluta certezza lavoro in quota nella considerazione che la fascia interessata dalle opere si trovava ad un’altezza compresa tra i 250 e i 300 cm. facendo presumere che il lavoratore non fosse al di sopra del limite dei 2.00 mt.
I giudici del Palazzacccio determinano il ricorso inammissibile, precisando che una consolidata giurisprudenza stabilisce che “in base alla normativa prevenzionistica, l’altezza superiore a metri due dal suolo va calcolata in riferimento all’altezza alla quale il lavoro viene eseguito rispetto al terreno sottostante e non al piano di calpestio del lavoratore (cfr. da ultimo Sez. 4, n. 43987 del 28/02/2013, Mancuso e altro, Rv. 257693; a proposito delle scale a pioli, vds. Sez. 4, n. 7604 del 16/04/1982, Placucci, Rv. 154865).”
L’atto di impugnazione rispetto alla sentenza di primo grado non presenta l’osservazione relativa al fatto che non sia stato il parroco, quanto l’altro parrocchiano a dare incarico per i lavori: pertanto, tale ragione, non può essere avanzata per la prima volta in Cassazione.
In aggiunta, in base ai documenti processuali si evince che i due lavoratori occasionali/volontari avevano certamente avuto indicazioni dall’altro
parrocchiano, ma hanno altresì chiuso il vero e proprio accordo proprio con il Parroco il quale, essendo soggetto disponente del luogo dove si
svolgevano i lavori di pitturazione, era titolare di una posizione di garanzia nei riguardi di chi presti anche in modo occasionale/volontario il proprio lavoro al suo interno, rispondendo direttamente per eventuali lesioni personali originate dalla mancata applicazione della normativa sugli infortuni (cfr. Sez. 4 7730/2008 Musso, Rv. 238756).
“le componenti essenziali della posizione di garanzia sono costituite, da un lato, da una fonte normativa di diritto privato o pubblico, anche non
scritta (o da una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca il dovere di intervento); dall’altro lato, dall’esistenza di un
potere giuridico, ma anche di fatto attraverso il corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi, di impedire l’evento (cfr. Sez. 4, n. 32298 del 06/07/2006, Abbiati e altro, Rv. 235369)”
Infine, si precisa che il Parroco, al netto del mero conferimento dell’incarico, sapeva che all’interno della chiesa (dove svolgeva le sue funzioni) ci fossero lavorazioni di pitturazione pareti con l’utilizzo di scala e trabattello.